L'ISLAM TRA IMITAZIONE E RAGIONAMENTO

Di Tarek Heggy


 

Negli anni compresi tra il 1967 e il 1973, mentre mi stavo laureando in Legge e Diritto comparato, ebbi modo di acquisire una conoscenza seppur rudimentale dei fondamenti del diritto islamico. In seguito, quando mi sono trovato a insegnare in università all'estero, ho iniziato ad approfondire l'argomento. Le mie letture mi condussero ben al di là della cerchia ristretta delle quattro scuole giuridiche sunnite per giungere a quelle sciite (la più importante delle quali è quella duodecimana o imamita) e alle quattro principali dottrine dei Kharigiti (la più importante delle quali è quella ibadita che è la scuola dominante in Algeria e nel sultanato dell'Oman), così come ad altre scuole, quali le interpretazioni degli eponimi al-Tabari e al-Laith. Ma le mie letture non si sono fermate lì. Mi sono ritrovato ad esplorare altri mondi connessi al campo del diritto islamico, non da ultimo la dottrina dei mutakallimun , o teologi dialettici, e a indagare a fondo gli insegnamenti filosofici dei mu'taziliti e degli ash'ariti. Sono stato introdotto al mondo dei batiniti da un caro amico, il dottor Mahmud Ismail, i cui scritti sul pensiero dei kharigiti, dei Carmati e di quelle che lui definisce le altre “sette segrete” dell'islam sono state le mie fonti primarie nello studio del diritto islamico.

Nel corso di un viaggio durato più di vent'anni ho sviluppato una profonda avversione nei confronti di coloro che io definisco “gli adoratori della parola” e “i prigionieri della tradizione” e al contempo ho iniziato a nutrire una profonda ammirazione per i sostenitori della ragione, in primo luogo ovviamente Ibn Rushd (Averroè) il cui primato della ragione è stato adottato dall'Europa e rifiutato dal mondo islamico. L'Europa ha acquisito quel che noi ci siamo lasciati sfuggire di mano: voltando le spalle a Averroè abbiamo perso un'occasione storica verso il nostro progresso. Un'attenta lettura di tutti i testi di Ibn Taymiyya e dei suoi discepoli, da Ibn Qayyim al-Jawziyya a Muhammad ibn Abd al-Wahhab alla fine del XVIII secolo, ha semplicemente acuito la mia avversione nei confronti di questa corrente e la mia ammirazione verso i mu'taziliti che hanno enfatizzato la responsabilità umana nelle questioni religiose e verso i pensatori liberali che hanno scelto la via della ragione abbandonando quella del dogma, quali Ibn Sina (Avicenna), al-Farabi e il loro precursore Ibn Rushd.

Quando metto a confronto le opere di al-Ghazali (Algazel) quali “La vivificazione delle scienze religiose” ( Ihyà ‘ulum al-din ), “Il criterio della conoscenza” ( Mi'yar al-‘ilm ), “Il criterio del lavoro” ( Mi'yar al-amal ), “La salvezza dalla perdizione” ( al-Munqidh min al-dalal ), “L'essenza dell'ortodossia” ( al-Mustasfa min ‘alm al-usul ) e “L'incoerenza dei filosofi” ( Tahafut al-falasifa ), che mancano palesemente di razionalità, con gli scritti di Averroè, nei quali la ragione regna sovrana, rimango esterrefatto al notare che la battaglia tra queste due distinte scuole, iniziata dieci secoli fa, si sia conclusa con una netta vittoria di al-Ghazali e una atroce sconfitta di Averroè. La differenza di approccio dei due pensatori si evidenzia nella scelta dei titoli delle loro opere: all'“L'incoerenza dei filosofi” di al-Ghazali si contrappone “L'incoerenza dell'incoerenza” di Averroè. Sono rimasto altrettanto esterrefatto dall'osservare che gli storici del pensiero islamico hanno occultato il fatto che al-Ghazali fu un instancabile sostenitore di tiranni, mentre Averroè fu una perenne spina nel fianco dei despoti che volevano mantenere i propri sudditi in uno stato di perenne inerzia, garantendo quindi lo status quo e il protrarsi del loro potere. Di fatto una mente attiva è fonte inesauribile di domande e le domande richiedono una presa di coscienza e, come ha affermato un amico illuminato, le domande hanno occhi mentre le risposte sono cieche!

Ho trascorso anni nel tentativo di capire perché i musulmani hanno scelto di seguire la direttiva avviata da Abu Hamid al-Ghazali, fautore dell'ortodossia e della tradizione per il quale conoscenza significava solo conoscenza della religione e che ha cancellato il ruolo della ragione negando sia la possibilità di acquisire la conoscenza attraverso l'intuizione, come invece sosteneva Averroè, che propugnò il primato della ragione e sparse i semi di una rinascita che non abbiamo voluto raccogliere. Perché mai le idee di al-Ghazali sono state accolte senza esitazione mentre quelle di Averroè sono state rifiutate? Credo che la risposta a questo paradosso possa essere riassunta in una parola: dispotismo. In un'epoca in cui il dispotismo nel nostro mondo viveva il suo apice non ci si deve stupire del fatto che i sovrani musulmani si siano trovati in maggiore sintonia con le idee di al-Ghazali piuttosto che con quelle di Averroè. La linea ortodossa si confaceva maggiormente anche ai loro sudditi che, sotto il giogo della tirannia, ritennero più sicuro e meno faticoso allinearsi con le idee di chi richiedeva loro semplicemente di sospendere la loro capacità critica. In Europa, dove le forze dell'illuminismo affrontavano a testa alta il clericalismo che ostacolava ogni iniziativa intellettuale e la razionalità, il dispotismo era in arretramento. Questa è la ragione per cui, nel XIII secolo, un centro prestigioso d'insegnamento quale l'Università di Parigi appoggiò e diffuse le idee dell'arabo-musulmano Averroè a scapito dell'europeo Tommaso d'Aquino, il filosofo scolastico celebre per la sua dottrina delle due spade.

Nel frattempo, il mondo islamico continuava a essere governato da despoti che non lasciavano spazio a chi voleva mettere in questione la loro autorità e da una classe religiosa parimenti autoritaria che criticava l'uso della ragione e chiedeva cieca obbedienza all'autorità della tradizione. Strettamente connessi quanto a metodi, motivazioni e obiettivi, questi due fattori favorirono un'atmosfera ostile al libero uso della ragione. Tuttavia sono necessari alcuni chiarimenti e delucidazioni. E' vero che i musulmani hanno perso una opportunità storica di usare le idee di Averroè come trampolino che avrebbe dato loro la possibilità di seguire l'Europa lungo il cammino che l'ha allontanata dal pensiero oscurantista del XIII secolo per condurla al vigoroso clima intellettuale che incoraggia il dibattito, il libero pensiero, le libertà e la creatività nell'arte, nella letteratura e nelle scienze. E' tuttavia altrettanto vero che i musulmani hanno conosciuto due “islam”, uno che può essere definito come il modello turco-egiziano, l'altro che può essere chiamato il modello beduino. Se del primo non si può affermare che abbia raggiunto il livello di illuminismo, pensiero progressivo e libertà che caratterizza il pensiero di Averroè, ciononostante è stato un islam gentile e tollerante che poteva coesistere con gli altri. Certamente, i non musulmani che vissero nell'Impero ottomano godettero di maggiore protezione rispetto a qualsiasi altra minoranza dell'epoca. Sotto gli Ottomani, i cristiani del Levante e gli ebrei nel mondo arabo vivevano in condizioni molto simili a quelle dei musulmani stessi. Anche quando vennero perseguitati da alcuni sovrani, come al-Hakim bi-Amr Allah, si trattava di una politica più ampia che non distingueva tra musulmani e non. Anche se questo modello di islam non può essere definito laico, ha adottato un approccio illuminato alla religione, trattandola come un sistema di credenze spirituali piuttosto che come un sistema che governava tutti gli aspetti della vita e della società.

Nel frattempo, un modello totalmente diverso di islam stava prendendo forma in seno a comunità geograficamente isolate e quindi lontane dagli sguardi del mondo esterno. Il loro isolamento fornì terreno fertile alle idee di Ibn Taymiyya, Ibn Qayyim al-Jawziyya e, verso la fine del XVIII secolo, a quelle di Muhammad ibn Abd al-Wahhab. Una collisione tra i suddetti due modelli di islam era inevitabile e, nella seconda decade del XIX secolo, si scontrarono sul campo di battaglia. Guidato dal figlio di Muhammad Ali, Tussun, e dall'altro suo figlio Ibrahim, senza dubbio il più brillante dei due, l'esercito egiziano, e con quest'ultimo il modello turco-egiziano dell'islam, ottenne la vittoria.

Purtroppo il vento si apprestava a soffiare in senso contrario e gli anni che seguirono non furono certo favorevoli all'Egitto e alla Turchia. Il crollo dell'Impero ottomano a seguito della Prima guerra mondiale segno la fine dell'ascesa della Turchia, mentre l'influenza dell'Egitto iniziò a diminuire mentre la sua economia e il suo sistema educativo intrapresero la via del declino. Nel frattempo, i sostenitori del modello di islam che chiedeva una stretta adesione all'interpretazione letterale della scrittura e che sbatteva la porta in faccia alla razionalità, si trovarono all'improvviso a controllare un'enorme ricchezza che non aveva precedenti nella storia. Tutto ciò fornì loro un grande vantaggio nei confronti dei loro rivali moderati e consentì loro di estendere la loro influenza anche nelle roccaforti tradizionali del modello turco-egiziano di islam. Qui avviarono una campagna sistematica al fine di cooptare personalità e istituzioni. Il successo di questa campagna trova la sua espressione più elevata nella nascita di movimenti radicali come i talebani, che interpretavano le dottrine religiose sulla base della sola tradizione e imponevano un tipo di islam scolastico e dottrinale che non lasciava spazio alcuno alla ragione. Questo triste risultato si sarebbe potuto evitare qualora la maggioranza dei musulmani avesse appoggiato Averroè oppure se le condizioni non avessero costretto il modello turco-egiziano alla ritirata.

Nelle mie numerose conferenze in Europa e in America, ho cercato di illustrare alle persone quello che io definisco l'islam egiziano che, sino agli anni Quaranta del secolo scorso, costituiva un unicum di tolleranza e flessibilità. Conosciuto per la sua accettazione dell'Altro, non era per nulla patologicamente ossessionato dalla scrittura. Riconosceva la natura divina delle leggi rivelate dal Profeta, ma riconosceva altresì che le regole erano state stabilite in un'epoca diversa, in un luogo diverso, in circostanze diverse. Quindi la natura divina riguardava la religione e non ai mortali che interpretavano le sue regole. Si accettava tacitamente l'esistenza di una dimensione soggettiva riguardante l'interpretazione e che quest'ultima è necessariamente colorata dalla formazione culturale, dalle conoscenze e dalle capacità intellettuale dell'interprete.

Chi in Occidente in generale e negli Stati Uniti in particolare mette in guardia dalla minaccia dell'”islam militante” farebbe bene a porsi qualche domanda importante:

1. Chi ha chiuso i loro occhi per anni a un clima che ha consentito al modello militante di islam di diffondersi liberamente e ha fatto in modo che il modello turco-egiziano, civile e umanistico, dovesse arretrare mentre le condizioni economiche e le istituzioni educative peggioravano, aprendo il varco all'invasione del modello militante? Chi ha fatto finta di non vedere questi sviluppi per trent'anni tanto da arrivare alla situazione attuale?

2. Chi negli anni Cinquanta del secolo scorso e forse anche prima ha inventato il pericoloso gioco che consiste nell'uso dell'islam politico per creare un equilibrio strategico con il socialismo? (Negli anni Settanta, l'Egitto ha tentato la stessa strategia con esito disastroso)

3. L'Occidente ha capito solo ora che non c'è posto per la libertà, la democrazia, i diritti umani, i diritti delle donne o i diritti civili in seno al modello militante di islam? Credeva davvero che questo modello potesse essere un brillante esempio di questi valori umanistici negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta?

4. Perché il dossier della luna di miele tra gli Usa e i mujahidin afghani non è stato aperto? Così come il dossier degli stretti legami tra l'islam politico dell'Iran pre-rivoluzionario e l'Occidente, in modo particolare la Francia? E, prima ancora, quello delle relazioni tra l'islam politico in Egitto e la Gram Bretagna, ai tempi forza occupante, soprattutto durante i due governi di Muhammad Mahmud (1928 e 1938)?

Lo spirito critico, che è l'orgoglio dell'umanità civilizzata, ci impone di rispondere a queste domande. Impone a tutte le parti in questione di assumere le proprie responsabilità rispetto a quanto è accaduto e sta accadendo. Ci impone di analizzare attentamente i due modelli di islam di cui ho parlato in questo articolo e di domandarci qual è quello che più si addice al progresso della civiltà e a vivere in armonia con la nostra epoca, senza abbandonare la nostra specificità culturale. Preferiamo il modello generato dalla scuola dei tradizionalisti, vittime dell'isolamento geografico dietro alte dune di sabbia oppure il modello turco-egiziano moderato, tollerante e liberale? Meglio ancora, non dovremmo forse adottare il modello illuminato di Averroè che ha aiutato la civiltà europea ad uscire dal Medioevo in un'epoca in cui abbiamo scelto di adottare il pensiero dei suoi oppositori, cadendo quindi nel baratro di una cultura che favorisce la superstizione, i miti, l'ignoranza e una becera militanza a scapito dell'istruzione, del lavoro, dello sviluppo e della fratellanza?

(Translated by Valentina Colombo ©)